Elisabeth Cutler: la musica continua e trova da sola le porte per uscire, con o senza il mercato commerciale.
Dagli Stati Uniti all’Italia. Questo è il percorso fatto da Elisabeth Cutler, cantautrice americana, nella vita e nella musica. Ad Unfolding Roma la incontriamo per parlare di musica e del suo ultimo disco, Polishing Stones, il sesto nella sua carriera ed il secondo registrato in Italia.

Salve Elisabeth, sono curiosa, di solito l’America è un punto di arrivo, per Lei invece è stato al contrario, dagli States all’Italia. Ha mai pensato che questo trasferimento avrebbe potuto essere, discograficamente parlando, un salto nel buio?

Per me è stato un salto nella luce! Per me l’Europa e in Italia sono un altro mondo, in confronto agli Stati Uniti. Mi ero stancata di tutti gli impegni negli Stati Uniti; avevo bisogno di un nuovo ambiente d’ispirazione; personalmente e artisticamente. Il mio trasferimento in Italia è stata una scelta artistica e sentimentale; non è stata una scelta discografica o un’opportunità commerciale. Discograficamente, sono stata in Nashville, Tennessee, negli anni ’88-2003, periodo durante il quale ho fatto 4 dischi in modo ‘indipendente’. Nel 2000, ho cercato d’andare in Europa e quasi subito le porte si sono aperte per me in Olanda, Italia, Inghilterra, e Germania: ho trovato le agenzie di concert booking e le etichette discografiche per il mio quarto disco, ‘Hurricane of Change’. Allo stesso momento le altre porte si sono chiuse per me negli USA e Nashville. Ho scelto d’andare verso le porte aperte. Tutto è successo in modo naturale, così come sono venute; la scelta era ovvia. Mi sono sentita meglio in Europa; in particolare in Italia ho incontrato gente calda, la vita è passionale, il clima è bello, e il cibo è sano. Quando un artista si sente a proprio agio, poi farà bene, e avrà la forza d’esprimersi a modo suo. Allo stesso momento, sembrava che le cose sarebbero potute andare bene anche in ‘esporto’. Poteva esserci più interesse per le cose provenienti dall’estero. In questo periodo, con il mio nuovo (sesto) disco, ‘Polishing Stones’ (2015 Beste! Unterhaltung), registrato a Roma, sto uscendo dall’Italia per la tournée in Europa.

Ha notato qualche differenza tra la discografia italiana e quella americana?

Beh, non sono sicura com’era il mondo della discografia italiana prima del 2009 quando ho registrato e lanciato il mio quinto disco, ‘Slow Release’, a Roma. Proprio in questi anni dopo il 2008, tutto nel mondo è successo velocemente a livello finanziario, e, nello stesso momento, internet e il ‘free download’ ha cambiato il modo di fare business nell’ambiente musicale e ha messo in crisi le case discografiche, i distributori, e i negozi di dischi. Nessuno nel mondo ha capito cosa fare o dove stava andando il mondo in generale; sicuramente nel mondo musicale c’era un crisi doppia. Prima di questa crisi c’era un modo, un programma, una formula per lanciare un disco sul mercato commerciale; mi sembra che questo modo fosse, più o meno, uguale in tutto il mondo, però dopo il 2008 questa formula non era più possibile. Dopo il 2008, senza il ‘middle man’ della casa discografica, l’ambiente è andato verso l’artista indipendente; anche questo modo è migliorato con l’aiuto di internet, per ciò ho lanciato ‘Slow Release’ in modo indipendente direttamente al pubblico su internet e anche dal vivo in concerti. Forse si può dire che gli americani sono più abituati ai cambiamenti e sono un po’ più veloci nel reagire, cambiare, adattarsi, organizzare, e creare un nuovo approccio in particolare nel mondo commerciale. Ancora nel 2015 gli italiani, secondo me, non hanno trovato o creato una nuova struttura per lanciare un disco. In generale nel mondo, ci sono tante persone che ancora pensano secondo vecchi schemi che non funzionano più; ma la musica continua e trova da sola le porte per uscire, con o senza il mercato commerciale. Ma alcune cose non cambiano mai: il mondo dello ‘show business’ da tutte le parti è uguale: è un mondo di tanti soldi, rapporti, ambizioni, e corruzione; i grandi affari commerciali continuano, e le piccole realtà restano piccole perché mancano di supporto

Con tre canzoni (“like a rollingstone”) e una chitarra elettrica, Bob Dylan seppellì la militanza folk e divenne il portavoce di una generazione: che idea ha del cantautorato americano?

Beh, questa domanda ha tanti elementi! I cantautori nel mondo vengono dalla musica Folk. In tutte le culture, la musica Folk è la musica del popolo; nasce delle storie popolari ed è ascoltata del popolo. La musica Folk è una riflessione dei sentimenti del popolo ed è fondata sui testi; poi il ritmo e la melodia. Non vedo un grande differenza tra i cantautori americani e le altre culture; ci sono grandi canzoni in tutte le culture. In America, ha sempre avuto successo un buon ‘mix’ di culture: Inglese, Europea, Africana, Caribico, Sud Americana e altre. Negli anni ’60-’70, il periodo del Cultural Revolution, c’era una buona forza, particolare, fertile e creativa, tra i giovani negli Stati Uniti. In questo periodo ebbero successo per la prima volta, gli artisti popolari, che si scrivevano i brani da se, da qui l’appellativo americano ‘Singer-songwriter’. Prima di questo, nel mondo della musica ‘Pop’, c’era sempre un autore e poi un cantante, separati. La cultura americana sa bene come trarre profitto dalle cose ed è una forza, una macchina commerciale, che funziona e porta tutto a livelli mondiali; il genere ‘Cantautore’ è arrivato con la nascita del Rock & Roll. Bob Dylan ha cominciato come una copia di Woody Guthrie che era attiva negli anni ’30 e ’40 durante il ‘Dustbowl’, grave crisi del mondo dell’agricoltura, e anche dell’immigrazione degli Stati Uniti. Guthrie ha cantato e scritto per il popolo di questo generazione. Dylan ha cominciato a scrivere nel periodo del Cultural Revolution degli anni ’60 e ’70; poi Dylan è andato avanti portando se stesso. Dentro i suoi testi ha messo insieme la voce personale con la consapevolezza sociale. A giudicare da quello che ho letto nelle interviste di Dylan, lui non voleva essere la voce di una generazione. Soprattutto Dylan è sempre stato un artista indipendente che è andato avanti con le sue cose senza allinearsi con nessuno. Infatti sembra che lui vada nella direzione opposta a quella che un ‘gruppo’, o popolo, vuole.

Tra le tante canzoni del panorama americano quale sente più legata al suo genere?

Sono contenta di essere cresciuta negli anni ’60-’70 che era un periodo di cambiamento, sperimentazione, e risveglio culturale. La musica rifletteva un nuovo modo di vivere; personalmente e socialmente. Tanti hanno seguito la musica Folk e Rock della scena Californiana: Joni Mitchell, CSN&Y, The Byrds, ed i Beach Boys; in più Bob Dylan, Jimi Hendrix, the Doors, e Janis Joplin. Per esempio i brani più grandi che mi ricordo era ‘Blowing in the Wind’ (Dylan), ‘Woodstock’ (Joni Mitchell/CSN&Y), ‘Ohio’, e ‘Teach Your Children’ (CSN&Y). Però devo anche dire che tutti hanno seguito e si sono identificati con la musica Inglese degli anni ’60-’70; The British Invasion: The Beatles, The Rolling Stones, The Who, e Led Zeppelin, dominavano negli Stati Uniti molto più della musica americana.

I Rem tanto tempo fa si arrabbiarono molto con l’emittente americana Fox di Murdoch che usò “Losing my religion” come colonna sonora della convention democratica – Michael Stipe: “la nostra musica non gli appartiene”, e Fox rispose: “speriamo di aver soddisfatto il loro bisogno di pubblicità” -In America come sono visti i cantanti schierati politicamente? In Italia c’è tuttora una distinzione molto netta tra quelli di sinistra e quelli di destra?

Tanti artisti non vogliono avere un appartenenza ad un partito politico; anche perché perdono il pubblico! Altri artisti hanno invece voglia di mostrare con chi sono allineati. Personalmente non mi interessa la scena politica, i politici, e neanche i partiti; mi interessa come vive le gente socialmente; capire le loro necessità nel rispetto del concetto di essere umano.

Una canzone che ha riscoperto negli ultimi anni?

The Fool on the Hill’ (Lennon/McCartney) – Questo brano è senza tempo ed ha un significato sempre attuale. Di questi tempi avremmo proprio bisogno di uno “scemo” che sta lì senza imporre la sua opinione sugli altri.

Un cantautore italiano che lei ama moltissimo e soprattutto alla quale prenderebbe in prestito una sua canzone?

Quando sono venuta in Italia nel 2001, ho scoperto Paolo Conte, Carmen Consoli, e Sergio Cammariere. Adesso sto ascoltando la musica e le canzoni di Enzo Avitabile. Io canto pochi brani degli altri; gli artisti italiani che mi piacciono sono unici e cantano in un modo tutto loro, come me, non sembra che le loro canzoni siano adattabili per un altro cantante o artista. Mi piace tanto, e ho cantato una volta, il brano di Banco di Mutuo Soccorso, ‘Non Mi Rompete’. Francesco Di Giacomo era un grande cantante molto bravo e originale. Ammiro anche tanto Demetrio Stratos.

Scrive prima il testo o la musica?

Quasi sempre va così: Inizio con un idea o pensiero che porta su un sentimento e sensazione; poi cerco il ritmo in tandem con l’armonia e la melodia.

Che voto darebbe alla musica contemporanea italiana ed internazionale? Ed i vari talent, come li valuta?

Non ascolto tanto la musica italiana contemporanea, e neanche la musica internazionale contemporanea. In questo periodo la musica ‘Pop’ e troppo commerciale per i miei gusti. Sembra tanto superficiale e ripetitiva. Mi interessa trovare un bel brano che sia orecchiabile, che dia belle sensazioni ed abbia un bel suono originale. La musica contemporanea è concentrata sull’artista/cantante; per un bel brano non serve un bravo cantante. Per me chi canta è abbastanza importante, ma viene sempre dopo la qualità del brano. Ci sono tanti bravi cantanti italiani che hanno bisogno di brani importanti e belli, non superficiali. Vedo una mancanza nel mondo moderno in generale di brani importanti e interessanti che durino nel tempo. In questo periodo c’è tanta attenzione al canto acrobatico ‘Power Pop’, che manca di sentimenti umani, veri e semplici. Non mi piace e non sono d’accordo con i concorsi e la competizione fra gli artisti.

Parliamo del suo disco: l’ho ascoltato e lo trovo splendido. Quanto ha contribuito al risultato finale la collaborazione con musicisti di diverse estrazioni musicali?

Grazie per aver ascoltato il mio nuovo disco! Si chiama ‘Polishing Stones’ (2015 Beste! Unterhaltung) prodotto da Filippo De Laura e registrato a Roma. Questo è il secondo disco che ho registrato con Filippo. Io e Filippo collaboriamo molto bene; ci conosciamo abbastanza e c’è fiducia fra noi. Io scrivo tutta la musica e tutti i testi; gli arrangiamenti sono già dentro la mia musica e la mia chitarra. Poi il produttore deve capire il mio genere e il suono che cerco per i brani; lui è responsabile per il suono e i musicisti sono responsabili per le loro parti. Collaboriamo tutti alla cura del brano per alzare e illuminare il livello del brano nel modo giusto per il brano stesso. Per me, artisticamente, è molto interessante suonare con musicisti internazionali che mai hanno suonato con una cantautrice americana perché non è prevedibile che lo facciano; è sempre una bella sorpresa per me. Loro portano alla mia musica le cose del mondo, non soltanto il mondo americano. Per questo, chiamo il mio genere, ‘My World Music’.

Da musicista come ha vissuto la notizia degli attacchi a Parigi in particolare contro ragazzi ad un concerto?

Questo è qualcosa  troppo difficile con cui confrontarsi; è fuori dalla realtà come lo conosciamo. Crea tanta confusione, paura, dolore, e rabbia. Crea tanta discussione e riflessione; non fa niente di meglio; sembra che la situazione globale e culturale peggiori. Storicamente, quando le persone si riuniscono per un evento è sempre una minaccia per chi vuole controllare il popolo. La musica ha la forza per unire le gente e cambiare il mondo.

Con che stato d’animo si sale sul palco dopo notizie di questo tipo?

Saliamo sul palco con più forza, impegno, proposito, scopo, amore, e consapevolezza perché siamo sul palco. Tanti musicisti sono morti sul palco e questo è abbastanza simbolico: morire con la cosa che ami di più.

Ha appena concluso un tour in Germania, i prossimi impegni?

Prossimamente continuo a suonare in concerti pubblichi, anche privati, in Europa, e forse organizziamo qualche concerto negli Stati Uniti (Nordest ‘New England’) nel 2016; continuo a promuovere il mio nuovo disco, ‘Polishing Stones’, sui social network e con il video-maker Ari Takahashi a Roma. Poi comincio a scrivere il mio prossimo disco.

Canterà mai in italiano?

No, finora non ho mai cantato in italiano – ma sono contenta di farlo se trovo un brano che mi fa sentire a mio agio e ha un significato profondo per me; fino ad allora continuo a scrivere e cantare i brani miei.

Intervista a cura di Francesca Uroni.

Fonte: Leggi l’articolo originale su unfoldingroma.com

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